Sustart
Illustrations by Gustave Doré (1832-1883)

  Ora era onde 'l salir non volea storpio;
ché 'l sole avea il cerchio di merigge
lasciato al Tauro e la notte a lo Scorpio:
  per che, come fa l'uom che non s'affigge
ma vassi a la via sua, che che li appaia,
se di bisogno stimolo il trafigge,
  così intrammo noi per la callaia,
uno innanzi altro prendendo la scala
che per artezza i salitor dispaia.
  E quale il cicognin che leva l'ala
per voglia di volare, e non s'attenta
d'abbandonar lo nido, e giù la cala;
  tal era io con voglia accesa e spenta
di dimandar, venendo infino a l'atto
che fa colui ch'a dicer s'argomenta.
  Non lasciò, per l'andar che fosse ratto,
lo dolce padre mio, ma disse: «Scocca
l'arco del dir, che 'nfino al ferro hai tratto».
  Allor sicuramente apri' la bocca
e cominciai: «Come si può far magro
là dove l'uopo di nodrir non tocca?».
  «Se t'ammentassi come Meleagro
si consumò al consumar d'un stizzo,
non fora», disse, «a te questo sì agro;
  e se pensassi come, al vostro guizzo,
guizza dentro a lo specchio vostra image,
ciò che par duro ti parrebbe vizzo.
  Ma perché dentro a tuo voler t'adage,
ecco qui Stazio; e io lui chiamo e prego
che sia or sanator de le tue piage».
  «Se la veduta etterna li dislego»,
rispuose Stazio, «là dove tu sie,
discolpi me non potert'io far nego».
  Poi cominciò: «Se le parole mie,
figlio, la mente tua guarda e riceve,
lume ti fiero al come che tu die.
  Sangue perfetto, che poi non si beve
da l'assetate vene, e si rimane
quasi alimento che di mensa leve,
  prende nel core a tutte membra umane
virtute informativa, come quello
ch'a farsi quelle per le vene vane.
  Ancor digesto, scende ov'è più bello
tacer che dire; e quindi poscia geme
sovr'altrui sangue in natural vasello.
  Ivi s'accoglie l'uno e l'altro insieme,
l'un disposto a patire, e l'altro a fare
per lo perfetto loco onde si preme;
  e, giunto lui, comincia ad operare
coagulando prima, e poi avviva
ciò che per sua matera fé constare.
  Anima fatta la virtute attiva
qual d'una pianta, in tanto differente,
che questa è in via e quella è già a riva,
  tanto ovra poi, che già si move e sente,
come spungo marino; e indi imprende
ad organar le posse ond'è semente.
  Or si spiega, figliuolo, or si distende
la virtù ch'è dal cor del generante,
dove natura a tutte membra intende.
  Ma come d'animal divegna fante,
non vedi tu ancor: quest'è tal punto,
che più savio di te fé già errante,
  sì che per sua dottrina fé disgiunto
da l'anima il possibile intelletto,
perché da lui non vide organo assunto.
  Apri a la verità che viene il petto;
e sappi che, sì tosto come al feto
l'articular del cerebro è perfetto,
  lo motor primo a lui si volge lieto
sovra tant'arte di natura, e spira
spirito novo, di vertù repleto,
  che ciò che trova attivo quivi, tira
in sua sustanzia, e fassi un'alma sola,
che vive e sente e sé in sé rigira.
  E perché meno ammiri la parola,
guarda il calor del sole che si fa vino,
giunto a l'omor che de la vite cola.
  Quando Lachesìs non ha più del lino,
solvesi da la carne, e in virtute
ne porta seco e l'umano e 'l divino:
  l'altre potenze tutte quante mute;
memoria, intelligenza e volontade
in atto molto più che prima agute.
  Sanza restarsi per sé stessa cade
mirabilmente a l'una de le rive;
quivi conosce prima le sue strade.
  Tosto che loco lì la circunscrive,
la virtù formativa raggia intorno
così e quanto ne le membra vive.
  E come l'aere, quand'è ben piorno,
per l'altrui raggio che 'n sé si reflette,
di diversi color diventa addorno;
  così l'aere vicin quivi si mette
in quella forma ch'è in lui suggella
virtualmente l'alma che ristette;
  e simigliante poi a la fiammella
che segue il foco là 'vunque si muta,
segue lo spirto sua forma novella.
  Però che quindi ha poscia sua paruta,
è chiamata ombra; e quindi organa poi
ciascun sentire infino a la veduta.
  Quindi parliamo e quindi ridiam noi;
quindi facciam le lagrime e ' sospiri
che per lo monte aver sentiti puoi.
  Secondo che ci affiggono i disiri
e li altri affetti, l'ombra si figura;
e quest'è la cagion di che tu miri».
  E già venuto a l'ultima tortura
s'era per noi, e vòlto a la man destra,
ed eravamo attenti ad altra cura.
  Quivi la ripa fiamma in fuor balestra,
e la cornice spira fiato in suso
che la reflette e via da lei sequestra;
  ond'ir ne convenia dal lato schiuso
ad uno ad uno; e io temea 'l foco
quinci, e quindi temeva cader giuso.
  Lo duca mio dicea: «Per questo loco
si vuol tenere a li occhi stretto il freno,
però ch'errar potrebbesi per poco».
  'Summae Deus clementiae' nel seno
al grande ardore allora udi' cantando,
che di volger mi fé caler non meno;
  e vidi spirti per la fiamma andando;
per ch'io guardava a loro e a' miei passi
compartendo la vista a quando a quando.
  Appresso il fine ch'a quell'inno fassi,
gridavano alto: 'Virum non cognosco';
indi ricominciavan l'inno bassi.
  Finitolo, anco gridavano: «Al bosco
si tenne Diana, ed Elice caccionne
che di Venere avea sentito il tòsco».
  Indi al cantar tornavano; indi donne
gridavano e mariti che fuor casti
come virtute e matrimonio imponne.
  E questo modo credo che lor basti
per tutto il tempo che 'l foco li abbruscia:
con tal cura conviene e con tai pasti
  che la piaga da sezzo si ricuscia.

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  Now was it the ascent no hindrance brooked,
Because the sun had his meridian circle
To Taurus left, and night to Scorpio;
  Wherefore as doth a man who tarries not,
But goes his way, whate'er to him appear,
If of necessity the sting transfix him,
  In this wise did we enter through the gap,
Taking the stairway, one before the other,
Which by its narrowness divides the climbers.
  And as the little stork that lifts its wing
With a desire to fly, and does not venture
To leave the nest, and lets it downward droop,
  Even such was I, with the desire of asking
Kindled and quenched, unto the motion coming
He makes who doth address himself to speak.
  Not for our pace, though rapid it might be,
My father sweet forbore, but said: “Let fly
The bow of speech thou to the barb hast drawn”.
  With confidence I opened then my mouth,
And I began: “How can one meagre grow
There where the need of nutriment applies not?”.
  “If thou wouldst call to mind how Meleager
Was wasted by the wasting of a brand,
This would not”, said he, “be to thee so sour;
  And wouldst thou think how at each tremulous motion
Trembles within a mirror your own image;
That which seems hard would mellow seem to thee.
  But that thou mayst content thee in thy wish
Lo Statius here; and him I call and pray
He now will be the healer of thy wounds”.
  “If I unfold to him the eternal vengeance”,
Responded Statius, “where thou present art,
Be my excuse that I can naught deny thee”.
  Then he began: “Son, if these words of mine
Thy mind doth contemplate and doth receive,
They'll be thy light unto the How thou sayest.
  The perfect blood, which never is drunk up
Into the thirsty veins, and which remaineth
Like food that from the table thou removest,
  Takes in the heart for all the human members
Virtue informative, as being that
Which to be changed to them goes through the veins
  Again digest, descends it where 'tis better
Silent to be than say; and then drops thence
Upon another's blood in natural vase.
  There one together with the other mingles,
One to be passive meant, the other active
By reason of the perfect place it springs from;
  And being conjoined, begins to operate,
Coagulating first, then vivifying
What for its matter it had made consistent.
  The active virtue, being made a soul
As of a plant, (in so far different,
This on the way is, that arrived already,)
  Then works so much, that now it moves and feels
Like a sea-fungus, and then undertakes
To organize the powers whose seed it is.
  Now, Son, dilates and now distends itself
The virtue from the generator's heart,
Where nature is intent on all the members.
  But how from animal it man becomes
Thou dost not see as yet; this is a point
Which made a wiser man than thou once err
  So far, that in his doctrine separate
He made the soul from possible intellect,
For he no organ saw by this assumed.
  Open thy breast unto the truth that's coming,
And know that, just as soon as in the foetus
The articulation of the brain is perfect,
  The primal Motor turns to it well pleased
At so great art of nature, and inspires
A spirit new with virtue all replete,
  Which what it finds there active doth attract
Into its substance, and becomes one soul,
Which lives, and feels, and on itself revolves.
  And that thou less may wonder at my word,
Behold the sun's heat, which becometh wine,
Joined to the juice that from the vine distils.
  Whenever Lachesis has no more thread,
It separates from the flesh, and virtually
Bears with itself the human and divine;
  The other faculties are voiceless all;
The memory, the intelligence, and the will
In action far more vigorous than before.
  Without a pause it falleth of itself
In marvellous way on one shore or the other;
There of its roads it first is cognizant.
  Soon as the place there circumscribeth it,
The virtue informative rays round about,
As, and as much as, in the living members.
  And even as the air, when full of rain,
By alien rays that are therein reflected,
With divers colours shows itself adorned,
  So there the neighbouring air doth shape itself
Into that form which doth impress upon it
Virtually the soul that has stood still.
  And then in manner of the little flame,
Which followeth the fire where'er it shifts,
After the spirit followeth its new form.
  Since afterwards it takes from this its semblance,
It is called shade; and thence it organizes
Thereafter every sense, even to the sight.
  Thence is it that we speak, and thence we laugh;
Thence is it that we form the tears and sighs,
That on the mountain thou mayhap hast heard.
  According as impress us our desires
And other affections, so the shade is shaped,
And this is cause of what thou wonderest at”.
  And now unto the last of all the circles
Had we arrived, and to the right hand turned,
And were attentive to another care.
  There the embankment shoots forth flames of fire,
And upward doth the cornice breathe a blast
That drives them back, and from itself sequesters.
  Hence we must needs go on the open side,
And one by one; and I did fear the fire
On this side, and on that the falling down.
  My Leader said: “Along this place one ought
To keep upon the eyes a tightened rein,
Seeing that one so easily might err”.
  “Summae Deus clementiae”, in the bosom
Of the great burning chanted then I heard,
Which made me no less eager to turn round;
  And spirits saw I walking through the flame;
Wherefore I looked, to my own steps and theirs
Apportioning my sight from time to time.
  After the close which to that hymn is made,
Aloud they shouted, “Virum non cognosco”;
Then recommenced the hymn with voices low.
  This also ended, cried they: “To the wood
Diana ran, and drove forth Helice
Therefrom, who had of Venus felt the poison”.
  Then to their song returned they; then the wives
They shouted, and the husbands who were chaste.
As virtue and the marriage vow imposes.
  And I believe that them this mode suffices,
For all the time the fire is burning them;
With such care is it needful, and such food,
  That the last wound of all should be closed up.
Canto XXV