Sustart
Illustrations by Gustave Doré (1832-1883)

  «O Padre nostro, che ne' cieli stai,
non circunscritto, ma per più amore
ch'ai primi effetti di là sù tu hai,
  laudato sia 'l tuo nome e 'l tuo valore
da ogni creatura, com'è degno
di render grazie al tuo dolce vapore.
  Vegna ver' noi la pace del tuo regno,
ché noi ad essa non potem da noi,
s'ella non vien, con tutto nostro ingegno.
  Come del suo voler li angeli tuoi
fan sacrificio a te, cantando osanna,
così facciano li uomini de' suoi.
  Dà oggi a noi la cotidiana manna,
sanza la qual per questo aspro diserto
a retro va chi più di gir s'affanna.
  E come noi lo mal ch'avem sofferto
perdoniamo a ciascuno, e tu perdona
benigno, e non guardar lo nostro merto.
  Nostra virtù che di legger s'adona,
non spermentar con l'antico avversaro,
ma libera da lui che sì la sprona.
  Quest'ultima preghiera, segnor caro,
già non si fa per noi, ché non bisogna,
ma per color che dietro a noi restaro».
  Così a sé e noi buona ramogna
quell'ombre orando, andavan sotto 'l pondo,
simile a quel che tal volta si sogna,
  disparmente angosciate tutte a tondo
e lasse su per la prima cornice,
purgando la caligine del mondo.
  Se di là sempre ben per noi si dice,
di qua che dire e far per lor si puote
da quei ch'hanno al voler buona radice?
  Ben si de' loro atar lavar le note
che portar quinci, sì che, mondi e lievi,
possano uscire a le stellate ruote.
  «Deh, se giustizia e pietà vi disgrievi
tosto, sì che possiate muover l'ala,
che secondo il disio vostro vi lievi,
  mostrate da qual mano inver' la scala
si va più corto; e se c'è più d'un varco,
quel ne 'nsegnate che men erto cala;
  ché questi che vien meco, per lo 'ncarco
de la carne d'Adamo onde si veste,
al montar sù, contra sua voglia, è parco».
  Le lor parole, che rendero a queste
che dette avea colui cu' io seguiva,
non fur da cui venisser manifeste;
  ma fu detto: «A man destra per la riva
con noi venite, e troverete il passo
possibile a salir persona viva.
  E s'io non fossi impedito dal sasso
che la cervice mia superba doma,
onde portar convienmi il viso basso,
  cotesti, ch'ancor vive e non si noma,
guardere' io, per veder s'i' 'l conosco,
e per farlo pietoso a questa soma.
  Io fui latino e nato d'un gran Tosco:
Guiglielmo Aldobrandesco fu mio padre;
non so se 'l nome suo già mai fu vosco.
  L'antico sangue e l'opere leggiadre
d'i miei maggior mi fer sì arrogante,
che, non pensando a la comune madre,
  ogn'uomo ebbi in despetto tanto avante,
ch'io ne mori', come i Sanesi sanno
e sallo in Campagnatico ogne fante.
  Io sono Omberto; e non pur a me danno
superbia fa, ché tutti miei consorti
ha ella tratti seco nel malanno.
  E qui convien ch'io questo peso porti
per lei, tanto che a Dio si sodisfaccia,
poi ch'io nol fe' tra ' vivi, qui tra ' morti».
  Ascoltando chinai in giù la faccia;
e un di lor, non questi che parlava,
si torse sotto il peso che li 'mpaccia,
  e videmi e conobbemi e chiamava,
tenendo li occhi con fatica fisi
a me che tutto chin con loro andava.
  «Oh!», diss'io lui, «non se' tu Oderisi,
l'onor d'Agobbio e l'onor di quell'arte
ch'alluminar chiamata è in Parisi?».
  «Frate», diss'elli, «più ridon le carte
che pennelleggia Franco Bolognese;
l'onore è tutto or suo, e mio in parte.
  Ben non sare' io stato sì cortese
mentre ch'io vissi, per lo gran disio
de l'eccellenza ove mio core intese.
  Di tal superbia qui si paga il fio;
e ancor non sarei qui, se non fosse
che, possendo peccar, mi volsi a Dio.
  Oh vana gloria de l'umane posse!
com'poco verde in su la cima dura,
se non è giunta da l'etati grosse!
  Credette Cimabue ne la pittura
tener lo campo, e ora ha Giotto il grido,
sì che la fama di colui è scura:
  così ha tolto l'uno a l'altro Guido
la gloria de la lingua; e forse è nato
chi l'uno e l'altro caccerà del nido.
  Non è il mondan romore altro ch'un fiato
di vento, ch'or vien quinci e or vien quindi,
e muta nome perché muta lato.
  Che voce avrai tu più, se vecchia scindi
da te la carne, che se fossi morto
anzi che tu lasciassi il 'pappo' e 'l 'dindi',
  pria che passin mill'anni? ch'è più corto
spazio a l'etterno, ch'un muover di ciglia
al cerchio che più tardi in cielo è torto.
  Colui che del cammin sì poco piglia
dinanzi a me, Toscana sonò tutta;
e ora a pena in Siena sen pispiglia,
  ond'era sire quando fu distrutta
la rabbia fiorentina, che superba
fu a quel tempo sì com'ora è putta.
  La vostra nominanza è color d'erba,
che viene e va, e quei la discolora
per cui ella esce de la terra acerba».
  E io a lui: «Tuo vero dir m'incora
bona umiltà, e gran tumor m'appiani;
ma chi è quei di cui tu parlavi ora?».
  «Quelli è», rispuose, «Provenzan Salvani;
ed è qui perché fu presuntuoso
a recar Siena tutta a le sue mani.
  Ito è così e va, sanza riposo,
poi che morì; cotal moneta rende
a sodisfar chi è di là troppo oso».
  E io: «Se quello spirito ch'attende,
pria che si penta, l'orlo de la vita,
qua giù dimora e qua sù non ascende,
  se buona orazion lui non aita,
prima che passi tempo quanto visse,
come fu la venuta lui largita?».
  «Quando vivea più glorioso», disse,
«liberamente nel Campo di Siena,
ogne vergogna diposta, s'affisse;
  e lì, per trar l'amico suo di pena
ch'e' sostenea ne la prigion di Carlo,
si condusse a tremar per ogne vena.
  Più non dirò, e scuro so che parlo;
ma poco tempo andrà, che ' tuoi vicini
faranno sì che tu potrai chiosarlo.
  Quest'opera li tolse quei confini».

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  “Our Father, thou who dwellest in the heavens,
Not circumscribed, but from the greater love
Thou bearest to the first effects on high,
  Praised be thy name and thine omnipotence
By every creature, as befitting is
To render thanks to thy sweet effluence.
  Come unto us the peace of thy dominion,
For unto it we cannot of ourselves,
If it come not, with all our intellect.
  Even as thine own Angels of their will
Make sacrifice to thee, Hosanna singing,
So may all men make sacrifice of theirs.
  Give unto us this day our daily manna,
Withouten which in this rough wilderness
Backward goes he who toils most to advance.
  And even as we the trespass we have suffered
Pardon in one another, pardon thou
Benignly, and regard not our desert.
  Our virtue, which is easily o'ercome,
Put not to proof with the old Adversary,
But thou from him who spurs it so, deliver.
  This last petition verily, dear Lord,
Not for ourselves is made, who need it not,
But for their sake who have remained behind us”.
  Thus for themselves and us good furtherance
Those shades imploring, went beneath a weight
Like unto that of which we sometimes dream,
  Unequally in anguish round and round
And weary all, upon that foremost cornice,
Purging away the smoke-stains of the world.
  If there good words are always said for us,
What may not here be said and done for them,
By those who have a good root to their will?
  Well may we help them wash away the marks
That hence they carried, so that clean and light
They may ascend unto the starry wheels!
  “Ah! so may pity and justice you disburden
Soon, that ye may have power to move the wing,
That shall uplift you after your desire,
  Show us on which hand tow'rd the stairs the way
Is shortest, and if more than one the passes,
Point us out that which least abruptly falls;
  For he who cometh with me, through the burden
Of Adam's flesh wherewith he is invested,
Against his will is chary of his climbing”.
  The words of theirs which they returned to those
That he whom I was following had spoken,
It was not manifest from whom they came,
  But it was said: “To the right hand come with us
Along the bank, and ye shall find a pass
Possible for living person to ascend.
  And were I not impeded by the stone,
Which this proud neck of mine doth subjugate,
Whence I am forced to hold my visage down,
  Him, who still lives and does not name himself,
Would I regard, to see if I may know him
And make him piteous unto this burden.
  A Latian was I, and born of a great Tuscan;
Guglielmo Aldobrandeschi was my father;
I know not if his name were ever with you.
  The ancient blood and deeds of gallantry
Of my progenitors so arrogant made me
That, thinking not upon the common mother,
  All men I held in scorn to such extent
I died therefor, as know the Sienese,
And every child in Campagnatico.
  I am Omberto; and not to me alone
Has pride done harm, but all my kith and kin
Has with it dragged into adversity.
  And here must I this burden bear for it
Till God be satisfied, since I did not
Among the living, here among the dead”.
  Listening I downward bent my countenance;
And one of them, not this one who was speaking,
Twisted himself beneath the weight that cramps him,
  And looked at me, and knew me, and called out,
Keeping his eyes laboriously fixed
On me, who all bowed down was going with them.
  “O”, asked I him, “art thou not Oderisi,
Agobbio's honour, and honour of that art
Which is in Paris called illuminating?”.
  “Brother”, said he, “more laughing are the leaves
Touched by the brush of Franco Bolognese;
All his the honour now, and mine in part.
  In sooth I had not been so courteous
While I was living, for the great desire
Of excellence, on which my heart was bent.
  Here of such pride is paid the forfeiture;
And yet I should not be here, were it not
That, having power to sin, I turned to God.
  O thou vain glory of the human powers,
How little green upon thy summit lingers,
If't be not followed by an age of grossness!
  In painting Cimabue thought that he
Should hold the field, now Giotto has the cry,
So that the other's fame is growing dim.
  So has one Guido from the other taken
The glory of our tongue, and he perchance
Is born, who from the nest shall chase them both.
  Naught is this mundane rumour but a breath
Of wind, that comes now this way and now that,
And changes name, because it changes side.
  What fame shalt thou have more, if old peel off
From thee thy flesh, than if thou hadst been dead
Before thou left the 'pappo' and the 'dindi,'
  Ere pass a thousand years? which is a shorter
Space to the eterne, than twinkling of an eye
Unto the circle that in heaven wheels slowest.
  With him, who takes so little of the road
In front of me, all Tuscany resounded;
And now he scarce is lisped of in Siena,
  Where he was lord, what time was overthrown
The Florentine delirium, that superb
Was at that day as now 'tis prostitute.
  Your reputation is the colour of grass
Which comes and goes, and that discolours it
By which it issues green from out the earth”.
  And I: “Thy true speech fills my heart with good
Humility, and great tumour thou assuagest;
But who is he, of whom just now thou spakest?”.
  “That”, he replied, “is Provenzan Salvani,
And he is here because he had presumed
To bring Siena all into his hands.
  He has gone thus, and goeth without rest
E'er since he died; such money renders back
In payment he who is on earth too daring”.
  And I: “If every spirit who awaits
The verge of life before that he repent,
Remains below there and ascends not hither,
  (Unless good orison shall him bestead,)
Until as much time as he lived be passed,
How was the coming granted him in largess?”.
  “When he in greatest splendour lived”, said he,
“Freely upon the Campo of Siena,
All shame being laid aside, he placed himself;
  And there to draw his friend from the duress
Which in the prison-house of Charles he suffered,
He brought himself to tremble in each vein.
  I say no more, and know that I speak darkly;
Yet little time shall pass before thy neighbours
Will so demean themselves that thou canst gloss it.
  This action has released him from those confines”.
Canto XI