Sustart
Illustrations by Gustave Doré (1832-1883)

  O poca nostra nobiltà di sangue,
se gloriar di te la gente fai
qua giù dove l'affetto nostro langue,
  mirabil cosa non mi sarà mai:
ché là dove appetito non si torce,
dico nel cielo, io me ne gloriai.
  Ben se' tu manto che tosto raccorce:
sì che, se non s'appon di dì in die,
lo tempo va dintorno con le force.
  Dal 'voi' che prima a Roma s'offerie,
in che la sua famiglia men persevra,
ricominciaron le parole mie;
  onde Beatrice, ch'era un poco scevra,
ridendo, parve quella che tossio
al primo fallo scritto di Ginevra.
  Io cominciai: «Voi siete il padre mio;
voi mi date a parlar tutta baldezza;
voi mi levate sì, ch'i' son più ch'io.
  Per tanti rivi s'empie d'allegrezza
la mente mia, che di sé fa letizia
perché può sostener che non si spezza.
  Ditemi dunque, cara mia primizia,
quai fuor li vostri antichi e quai fuor li anni
che si segnaro in vostra puerizia;
  ditemi de l'ovil di San Giovanni
quanto era allora, e chi eran le genti
tra esso degne di più alti scanni».
  Come s'avviva a lo spirar d'i venti
carbone in fiamma, così vid'io quella
luce risplendere a' miei blandimenti;
  e come a li occhi miei si fé più bella,
così con voce più dolce e soave,
ma non con questa moderna favella,
  dissemi: «Da quel dì che fu detto 'Ave'
al parto in che mia madre, ch'è or santa,
s'alleviò di me ond'era grave,
  al suo Leon cinquecento cinquanta
e trenta fiate venne questo foco
a rinfiammarsi sotto la sua pianta.
  Li antichi miei e io nacqui nel loco
dove si truova pria l'ultimo sesto
da quei che corre il vostro annual gioco.
  Basti d'i miei maggiori udirne questo:
chi ei si fosser e onde venner quivi,
più è tacer che ragionare onesto.
  Tutti color ch'a quel tempo eran ivi
da poter arme tra Marte e 'l Batista,
eran il quinto di quei ch'or son vivi.
  Ma la cittadinanza, ch'è or mista
di Campi, di Certaldo e di Fegghine,
pura vediesi ne l'ultimo artista.
  Oh quanto fora meglio esser vicine
quelle genti ch'io dico, e al Galluzzo
e a Trespiano aver vostro confine,
  che averle dentro e sostener lo puzzo
del villan d'Aguglion, di quel da Signa,
che già per barattare ha l'occhio aguzzo!
  Se la gente ch'al mondo più traligna
non fosse stata a Cesare noverca,
ma come madre a suo figlio benigna,
  tal fatto è fiorentino e cambia e merca,
che si sarebbe vòlto a Simifonti,
là dove andava l'avolo a la cerca;
  sariesi Montemurlo ancor de' Conti;
sarieno i Cerchi nel piovier d'Acone,
e forse in Valdigrieve i Buondelmonti.
  Sempre la confusion de le persone
principio fu del mal de la cittade,
come del vostro il cibo che s'appone;
  e cieco toro più avaccio cade
che cieco agnello; e molte volte taglia
più e meglio una che le cinque spade.
  Se tu riguardi Luni e Orbisaglia
come sono ite, e come se ne vanno
di retro ad esse Chiusi e Sinigaglia,
  udir come le schiatte si disfanno
non ti parrà nova cosa né forte,
poscia che le cittadi termine hanno.
  Le vostre cose tutte hanno lor morte,
sì come voi; ma celasi in alcuna
che dura molto, e le vite son corte.
  E come 'l volger del ciel de la luna
cuopre e discuopre i liti sanza posa,
così fa di Fiorenza la Fortuna:
  per che non dee parer mirabil cosa
ciò ch'io dirò de li alti Fiorentini
onde è la fama nel tempo nascosa.
  Io vidi li Ughi e vidi i Catellini,
Filippi, Greci, Ormanni e Alberichi,
già nel calare, illustri cittadini;
  e vidi così grandi come antichi,
con quel de la Sannella, quel de l'Arca,
e Soldanieri e Ardinghi e Bostichi.
  Sovra la porta ch'al presente è carca
di nova fellonia di tanto peso
che tosto fia iattura de la barca,
  erano i Ravignani, ond'è disceso
il conte Guido e qualunque del nome
de l'alto Bellincione ha poscia preso.
  Quel de la Pressa sapeva già come
regger si vuole, e avea Galigaio
dorata in casa sua già l'elsa e 'l pome.
  Grand'era già la colonna del Vaio,
Sacchetti, Giuochi, Fifanti e Barucci
e Galli e quei ch'arrossan per lo staio.
  Lo ceppo di che nacquero i Calfucci
era già grande, e già eran tratti
a le curule Sizii e Arrigucci.
  Oh quali io vidi quei che son disfatti
per lor superbia! e le palle de l'oro
fiorian Fiorenza in tutt'i suoi gran fatti.
  Così facieno i padri di coloro
che, sempre che la vostra chiesa vaca,
si fanno grassi stando a consistoro.
  L'oltracotata schiatta che s'indraca
dietro a chi fugge, e a chi mostra 'l dente
o ver la borsa, com'agnel si placa,
  già venìa sù, ma di picciola gente;
sì che non piacque ad Ubertin Donato
che poi il suocero il fé lor parente.
  Già era 'l Caponsacco nel mercato
disceso giù da Fiesole, e già era
buon cittadino Giuda e Infangato.
  Io dirò cosa incredibile e vera:
nel picciol cerchio s'entrava per porta
che si nomava da quei de la Pera.
  Ciascun che de la bella insegna porta
del gran barone il cui nome e 'l cui pregio
la festa di Tommaso riconforta,
  da esso ebbe milizia e privilegio;
avvegna che con popol si rauni
oggi colui che la fascia col fregio.
  Già eran Gualterotti e Importuni;
e ancor saria Borgo più quieto,
se di novi vicin fosser digiuni.
  La casa di che nacque il vostro fleto,
per lo giusto disdegno che v'ha morti,
e puose fine al vostro viver lieto,
  era onorata, essa e suoi consorti:
o Buondelmonte, quanto mal fuggisti
le nozze sue per li altrui conforti!
  Molti sarebber lieti, che son tristi,
se Dio t'avesse conceduto ad Ema
la prima volta ch'a città venisti.
  Ma conveniesi a quella pietra scema
che guarda 'l ponte, che Fiorenza fesse
vittima ne la sua pace postrema.
  Con queste genti, e con altre con esse,
vid'io Fiorenza in sì fatto riposo,
che non avea cagione onde piangesse:
  con queste genti vid'io glorioso
e giusto il popol suo, tanto che 'l giglio
non era ad asta mai posto a ritroso,
  né per division fatto vermiglio».

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  O thou our poor nobility of blood,
If thou dost make the people glory in thee
Down here where our affection languishes,
  A marvellous thing it ne'er will be to me;
For there where appetite is not perverted,
I say in Heaven, of thee I made a boast!
  Truly thou art a cloak that quickly shortens,
So that unless we piece thee day by day
Time goeth round about thee with his shears!
  With 'You,' which Rome was first to tolerate,
(Wherein her family less perseveres,)
Yet once again my words beginning made;
  Whence Beatrice, who stood somewhat apart,
Smiling, appeared like unto her who coughed
At the first failing writ of Guenever.
  And I began: “You are my ancestor,
You give to me all hardihood to speak,
You lift me so that I am more than I.
  So many rivulets with gladness fill
My mind, that of itself it makes a joy
Because it can endure this and not burst.
  Then tell me, my beloved root ancestral,
Who were your ancestors, and what the years
That in your boyhood chronicled themselves?
  Tell me about the sheepfold of Saint John,
How large it was, and who the people were
Within it worthy of the highest seats”.
  As at the blowing of the winds a coal
Quickens to flame, so I beheld that light
Become resplendent at my blandishments.
  And as unto mine eyes it grew more fair,
With voice more sweet and tender, but not in
This modern dialect, it said to me:
  “From uttering of the 'Ave,' till the birth
In which my mother, who is now a saint,
Of me was lightened who had been her burden,
  Unto its Lion had this fire returned
Five hundred fifty times and thirty more,
To reinflame itself beneath his paw.
  My ancestors and I our birthplace had
Where first is found the last ward of the city
By him who runneth in your annual game.
  Suffice it of my elders to hear this;
But who they were, and whence they thither came,
Silence is more considerate than speech.
  All those who at that time were there between
Mars and the Baptist, fit for bearing arms,
Were a fifth part of those who now are living;
  But the community, that now is mixed
With Campi and Certaldo and Figghine,
Pure in the lowest artisan was seen.
  O how much better 'twere to have as neighbours
The folk of whom I speak, and at Galluzzo
And at Trespiano have your boundary,
  Than have them in the town, and bear the stench
Of Aguglione's churl, and him of Signa
Who has sharp eyes for trickery already.
  Had not the folk, which most of all the world
Degenerates, been a step-dame unto Caesar,
But as a mother to her son benignant,
  Some who turn Florentines, and trade and discount,
Would have gone back again to Simifonte
There where their grandsires went about as beggars.
  At Montemurlo still would be the Counts,
The Cerchi in the parish of Acone,
Perhaps in Valdigrieve the Buondelmonti.
  Ever the intermingling of the people
Has been the source of malady in cities,
As in the body food it surfeits on;
  And a blind bull more headlong plunges down
Than a blind lamb; and very often cuts
Better and more a single sword than five.
  If Luni thou regard, and Urbisaglia,
How they have passed away, and how are passing
Chiusi and Sinigaglia after them,
  To hear how races waste themselves away,
Will seem to thee no novel thing nor hard,
Seeing that even cities have an end.
  All things of yours have their mortality,
Even as yourselves; but it is hidden in some
That a long while endure, and lives are short;
  And as the turning of the lunar heaven
Covers and bares the shores without a pause,
In the like manner fortune does with Florence.
  Therefore should not appear a marvellous thing
What I shall say of the great Florentines
Of whom the fame is hidden in the Past.
  I saw the Ughi, saw the Catellini,
Filippi, Greci, Ormanni, and Alberichi,
Even in their fall illustrious citizens;
  And saw, as mighty as they ancient were,
With him of La Sannella him of Arca,
And Soldanier, Ardinghi, and Bostichi.
  Near to the gate that is at present laden
With a new felony of so much weight
That soon it shall be jetsam from the bark,
  The Ravignani were, from whom descended
The County Guido, and whoe'er the name
Of the great Bellincione since hath taken.
  He of La Pressa knew the art of ruling
Already, and already Galigajo
Had hilt and pommel gilded in his house.
  Mighty already was the Column Vair,
Sacchetti, Giuochi, Fifant, and Barucci,
And Galli, and they who for the bushel blush.
  The stock from which were the Calfucci born
Was great already, and already chosen
To curule chairs the Sizii and Arrigucci.
  O how beheld I those who are undone
By their own pride! and how the Balls of Gold
Florence enflowered in all their mighty deeds!
  So likewise did the ancestors of those
Who evermore, when vacant is your church,
Fatten by staying in consistory.
  The insolent race, that like a dragon follows
Whoever flees, and unto him that shows
His teeth or purse is gentle as a lamb,
  Already rising was, but from low people;
So that it pleased not Ubertin Donato
That his wife's father should make him their kin.
  Already had Caponsacco to the Market
From Fesole descended, and already
Giuda and Infangato were good burghers.
  I'll tell a thing incredible, but true;
One entered the small circuit by a gate
Which from the Della Pera took its name!
  Each one that bears the beautiful escutcheon
Of the great baron whose renown and name
The festival of Thomas keepeth fresh,
  Knighthood and privilege from him received;
Though with the populace unites himself
To-day the man who binds it with a border.
  Already were Gualterotti and Importuni;
And still more quiet would the Borgo be
If with new neighbours it remained unfed.
  The house from which is born your lamentation,
Through just disdain that death among you brought
And put an end unto your joyous life,
  Was honoured in itself and its companions.
O Buondelmonte, how in evil hour
Thou fled'st the bridal at another's promptings!
  Many would be rejoicing who are sad,
If God had thee surrendered to the Ema
The first time that thou camest to the city.
  But it behoved the mutilated stone
Which guards the bridge, that Florence should provide
A victim in her latest hour of peace.
  With all these families, and others with them,
Florence beheld I in so great repose,
That no occasion had she whence to weep;
  With all these families beheld so just
And glorious her people, that the lily
Never upon the spear was placed reversed,
  Nor by division was vermilion made”.
Canto XVI