Solea creder lo mondo in suo periclo che la bella Ciprigna il folle amore raggiasse, volta nel terzo epiciclo; per che non pur a lei faceano onore di sacrificio e di votivo grido le genti antiche ne l'antico errore; ma Dione onoravano e Cupido, quella per madre sua, questo per figlio, e dicean ch'el sedette in grembo a Dido; e da costei ond'io principio piglio pigliavano il vocabol de la stella che 'l sol vagheggia or da coppa or da ciglio. Io non m'accorsi del salire in ella; ma d'esservi entro mi fé assai fede la donna mia ch'i' vidi far più bella. E come in fiamma favilla si vede, e come in voce voce si discerne, quand'una è ferma e altra va e riede, vid'io in essa luce altre lucerne muoversi in giro più e men correnti, al modo, credo, di lor viste interne. Di fredda nube non disceser venti, o visibili o no, tanto festini, che non paressero impediti e lenti a chi avesse quei lumi divini veduti a noi venir, lasciando il giro pria cominciato in li alti Serafini; e dentro a quei che più innanzi appariro sonava 'Osanna' sì, che unque poi di riudir non fui sanza disiro. Indi si fece l'un più presso a noi e solo incominciò: «Tutti sem presti al tuo piacer, perché di noi ti gioi. Noi ci volgiam coi principi celesti d'un giro e d'un girare e d'una sete, ai quali tu del mondo già dicesti: 'Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete'; e sem sì pien d'amor, che, per piacerti, non fia men dolce un poco di quiete». Poscia che li occhi miei si fuoro offerti a la mia donna reverenti, ed essa fatti li avea di sé contenti e certi, rivolsersi a la luce che promessa tanto s'avea, e «Deh, chi siete?» fue la voce mia di grande affetto impressa. E quanta e quale vid'io lei far piùe per allegrezza nova che s'accrebbe, quando parlai, a l'allegrezze sue! Così fatta, mi disse: «Il mondo m'ebbe giù poco tempo; e se più fosse stato, molto sarà di mal, che non sarebbe. La mia letizia mi ti tien celato che mi raggia dintorno e mi nasconde quasi animal di sua seta fasciato. Assai m'amasti, e avesti ben onde; che s'io fossi giù stato, io ti mostrava di mio amor più oltre che le fronde. Quella sinistra riva che si lava di Rodano poi ch'è misto con Sorga, per suo segnore a tempo m'aspettava, e quel corno d'Ausonia che s'imborga di Bari e di Gaeta e di Catona da ove Tronto e Verde in mare sgorga. Fulgeami già in fronte la corona di quella terra che 'l Danubio riga poi che le ripe tedesche abbandona. E la bella Trinacria, che caliga tra Pachino e Peloro, sopra 'l golfo che riceve da Euro maggior briga, non per Tifeo ma per nascente solfo, attesi avrebbe li suoi regi ancora, nati per me di Carlo e di Ridolfo, se mala segnoria, che sempre accora li popoli suggetti, non avesse mosso Palermo a gridar: Mora, mora!. E se mio frate questo antivedesse, l'avara povertà di Catalogna già fuggeria, perché non li offendesse; ché veramente proveder bisogna per lui, o per altrui, sì ch'a sua barca carcata più d'incarco non si pogna. La sua natura, che di larga parca discese, avria mestier di tal milizia che non curasse di mettere in arca». «Però ch'i' credo che l'alta letizia che 'l tuo parlar m'infonde, segnor mio, là 've ogne ben si termina e s'inizia, per te si veggia come la vegg'io, grata m'è più; e anco quest'ho caro perché 'l discerni rimirando in Dio. Fatto m'hai lieto, e così mi fa chiaro, poi che, parlando, a dubitar m'hai mosso com'esser può, di dolce seme, amaro». Questo io a lui; ed elli a me: «S'io posso mostrarti un vero, a quel che tu dimandi terrai lo viso come tien lo dosso. Lo ben che tutto il regno che tu scandi volge e contenta, fa esser virtute sua provedenza in questi corpi grandi. E non pur le nature provedute sono in la mente ch'è da sé perfetta, ma esse insieme con la lor salute: per che quantunque quest'arco saetta disposto cade a proveduto fine, sì come cosa in suo segno diretta. Se ciò non fosse, il ciel che tu cammine producerebbe sì li suoi effetti, che non sarebbero arti, ma ruine; e ciò esser non può, se li 'ntelletti che muovon queste stelle non son manchi, e manco il primo, che non li ha perfetti. Vuo' tu che questo ver più ti s'imbianchi?». E io: «Non già; ché impossibil veggio che la natura, in quel ch'è uopo, stanchi». Ond'elli ancora: «Or di': sarebbe il peggio per l'omo in terra, se non fosse cive?». «Sì», rispuos'io; «e qui ragion non cheggio». «E puot'elli esser, se giù non si vive diversamente per diversi offici? Non, se 'l maestro vostro ben vi scrive». Sì venne deducendo infino a quici; poscia conchiuse: «Dunque esser diverse convien di vostri effetti le radici: per ch'un nasce Solone e altro Serse, altro Melchisedèch e altro quello che, volando per l'aere, il figlio perse. La circular natura, ch'è suggello a la cera mortal, fa ben sua arte, ma non distingue l'un da l'altro ostello. Quinci addivien ch'Esaù si diparte per seme da Iacòb; e vien Quirino da sì vil padre, che si rende a Marte. Natura generata il suo cammino simil farebbe sempre a' generanti, se non vincesse il proveder divino. Or quel che t'era dietro t'è davanti: ma perché sappi che di te mi giova, un corollario voglio che t'ammanti. Sempre natura, se fortuna trova discorde a sé, com'ogne altra semente fuor di sua region, fa mala prova. E se 'l mondo là giù ponesse mente al fondamento che natura pone, seguendo lui, avria buona la gente. Ma voi torcete a la religione tal che fia nato a cignersi la spada, e fate re di tal ch'è da sermone; onde la traccia vostra è fuor di strada». 1 4 7 10 13 16 19 22 25 28 31 34 37 40 43 46 49 52 55 58 61 64 67 70 73 76 79 82 85 88 91 94 97 100 103 106 109 112 115 118 121 124 127 130 133 136 139 142 145 148 The world used in its peril to believe That the fair Cypria delirious love Rayed out, in the third epicycle turning; Wherefore not only unto her paid honour Of sacrifices and of votive cry The ancient nations in the ancient error, But both Dione honoured they and Cupid, That as her mother, this one as her son, And said that he had sat in Dido's lap; And they from her, whence I beginning take, Took the denomination of the star That woos the sun, now following, now in front. I was not ware of our ascending to it; But of our being in it gave full faith My Lady whom I saw more beauteous grow. And as within a flame a spark is seen, And as within a voice a voice discerned, When one is steadfast, and one comes and goes, Within that light beheld I other lamps Move in a circle, speeding more and less, Methinks in measure of their inward vision. From a cold cloud descended never winds, Or visible or not, so rapidly They would not laggard and impeded seem To any one who had those lights divine Seen come towards us, leaving the gyration Begun at first in the high Seraphim. And behind those that most in front appeared Sounded “Osanna!”. so that never since To hear again was I without desire. Then unto us more nearly one approached, And it alone began: “We all are ready Unto thy pleasure, that thou joy in us. We turn around with the celestial Princes, One gyre and one gyration and one thirst, To whom thou in the world of old didst say, 'Ye who, intelligent, the third heaven are moving;' And are so full of love, to pleasure thee A little quiet will not be less sweet”. After these eyes of mine themselves had offered Unto my Lady reverently, and she Content and certain of herself had made them, Back to the light they turned, which so great promise Made of itself, and “Say, who art thou?”. was My voice, imprinted with a great affection. O how and how much I beheld it grow With the new joy that superadded was Unto its joys, as soon as I had spoken! Thus changed, it said to me: “The world possessed me Short time below; and, if it had been more, Much evil will be which would not have been. My gladness keepeth me concealed from thee, Which rayeth round about me, and doth hide me Like as a creature swathed in its own silk. Much didst thou love me, and thou hadst good reason; For had I been below, I should have shown thee Somewhat beyond the foliage of my love. That left-hand margin, which doth bathe itself In Rhone, when it is mingled with the Sorgue, Me for its lord awaited in due time, And that horn of Ausonia, which is towned With Bari, with Gaeta and Catona, Whence Tronto and Verde in the sea disgorge. Already flashed upon my brow the crown Of that dominion which the Danube waters After the German borders it abandons; And beautiful Trinacria, that is murky 'Twixt Pachino and Peloro, (on the gulf Which greatest scath from Eurus doth receive,) Not through Typhoeus, but through nascent sulphur, Would have awaited her own monarchs still, Through me from Charles descended and from Rudolph, If evil lordship, that exasperates ever The subject populations, had not moved Palermo to the outcry of 'Death! death!' And if my brother could but this foresee, The greedy poverty of Catalonia Straight would he flee, that it might not molest him; For verily 'tis needful to provide, Through him or other, so that on his bark Already freighted no more freight be placed. His nature, which from liberal covetous Descended, such a soldiery would need As should not care for hoarding in a chest”. “Because I do believe the lofty joy Thy speech infuses into me, my Lord, Where every good thing doth begin and end Thou seest as I see it, the more grateful Is it to me; and this too hold I dear, That gazing upon God thou dost discern it. Glad hast thou made me; so make clear to me, Since speaking thou hast stirred me up to doubt, How from sweet seed can bitter issue forth”. This I to him; and he to me: “If I Can show to thee a truth, to what thou askest Thy face thou'lt hold as thou dost hold thy back. The Good which all the realm thou art ascending Turns and contents, maketh its providence To be a power within these bodies vast; And not alone the natures are foreseen Within the mind that in itself is perfect, But they together with their preservation. For whatsoever thing this bow shoots forth Falls foreordained unto an end foreseen, Even as a shaft directed to its mark. If that were not, the heaven which thou dost walk Would in such manner its effects produce, That they no longer would be arts, but ruins. This cannot be, if the Intelligences That keep these stars in motion are not maimed, And maimed the First that has not made them perfect. Wilt thou this truth have clearer made to thee?”. And I: “Not so; for 'tis impossible That nature tire, I see, in what is needful”. Whence he again: “Now say, would it be worse For men on earth were they not citizens?”. “Yes”, I replied; “and here I ask no reason”. “And can they be so, if below they live not Diversely unto offices diverse? No, if your master writeth well for you”. So came he with deductions to this point; Then he concluded: “Therefore it behoves The roots of your effects to be diverse. Hence one is Solon born, another Xerxes, Another Melchisedec, and another he Who, flying through the air, his son did lose. Revolving Nature, which a signet is To mortal wax, doth practise well her art, But not one inn distinguish from another; Thence happens it that Esau differeth In seed from Jacob; and Quirinus comes From sire so vile that he is given to Mars. A generated nature its own way Would always make like its progenitors, If Providence divine were not triumphant. Now that which was behind thee is before thee; But that thou know that I with thee am pleased, With a corollary will I mantle thee. Evermore nature, if it fortune find Discordant to it, like each other seed Out of its region, maketh evil thrift; And if the world below would fix its mind On the foundation which is laid by nature, Pursuing that, 'twould have the people good. But you unto religion wrench aside Him who was born to gird him with the sword, And make a king of him who is for sermons; Therefore your footsteps wander from the road”. Canto VIII
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