Sustart
Illustrations by Gustave Doré (1832-1883)

  Ruppemi l'alto sonno ne la testa
un greve truono, sì ch'io mi riscossi
come persona ch'è per forza desta;
  e l'occhio riposato intorno mossi,
dritto levato, e fiso riguardai
per conoscer lo loco dov'io fossi.
  Vero è che 'n su la proda mi trovai
de la valle d'abisso dolorosa
che 'ntrono accoglie d'infiniti guai.
  Oscura e profonda era e nebulosa
tanto che, per ficcar lo viso a fondo,
io non vi discernea alcuna cosa.
  «Or discendiam qua giù nel cieco mondo»,
cominciò il poeta tutto smorto.
«Io sarò primo, e tu sarai secondo».
  E io, che del color mi fui accorto,
dissi: «Come verrò, se tu paventi
che suoli al mio dubbiare esser conforto?».
  Ed elli a me: «L'angoscia de le genti
che son qua giù, nel viso mi dipigne
quella pietà che tu per tema senti.
  Andiam, ché la via lunga ne sospigne».
Così si mise e così mi fé intrare
nel primo cerchio che l'abisso cigne.
  Quivi, secondo che per ascoltare,
non avea pianto mai che di sospiri,
che l'aura etterna facevan tremare;
  ciò avvenia di duol sanza martìri
ch'avean le turbe, ch'eran molte e grandi,
d'infanti e di femmine e di viri.
  Lo buon maestro a me: «Tu non dimandi
che spiriti son questi che tu vedi?
Or vo' che sappi, innanzi che più andi,
  ch'ei non peccaro; e s'elli hanno mercedi,
non basta, perché non ebber battesmo,
ch'è porta de la fede che tu credi;
  e s'e' furon dinanzi al cristianesmo,
non adorar debitamente a Dio:
e di questi cotai son io medesmo.
  Per tai difetti, non per altro rio,
semo perduti, e sol di tanto offesi,
che sanza speme vivemo in disio».
  Gran duol mi prese al cor quando lo 'ntesi,
però che gente di molto valore
conobbi che 'n quel limbo eran sospesi.
  «Dimmi, maestro mio, dimmi, segnore»,
comincia' io per voler esser certo
di quella fede che vince ogne errore:
  «uscicci mai alcuno, o per suo merto
o per altrui, che poi fosse beato?».
E quei che 'ntese il mio parlar coverto,
  rispuose: «Io era nuovo in questo stato,
quando ci vidi venire un possente,
con segno di vittoria coronato.
  Trasseci l'ombra del primo parente,
d'Abèl suo figlio e quella di Noè,
di Moisè legista e ubidente;
  Abraàm patriarca e Davìd re,
Israèl con lo padre e co' suoi nati
e con Rachele, per cui tanto fé;
  e altri molti, e feceli beati.
E vo' che sappi che, dinanzi ad essi,
spiriti umani non eran salvati».
  Non lasciavam l'andar perch'ei dicessi,
ma passavam la selva tuttavia,
la selva, dico, di spiriti spessi.
  Non era lunga ancor la nostra via
di qua dal sonno, quand'io vidi un foco
ch'emisperio di tenebre vincia.
  Di lungi n'eravamo ancora un poco,
ma non sì ch'io non discernessi in parte
ch'orrevol gente possedea quel loco.
  «O tu ch'onori scienzia e arte,
questi chi son c'hanno cotanta onranza,
che dal modo de li altri li diparte?».
  E quelli a me: «L'onrata nominanza
che di lor suona sù ne la tua vita,
grazia acquista in ciel che sì li avanza».
  Intanto voce fu per me udita:
«Onorate l'altissimo poeta:
l'ombra sua torna, ch'era dipartita».
  Poi che la voce fu restata e queta,
vidi quattro grand'ombre a noi venire:
sembianz'avevan né trista né lieta.
  Lo buon maestro cominciò a dire:
«Mira colui con quella spada in mano,
che vien dinanzi ai tre sì come sire:
  quelli è Omero poeta sovrano;
l'altro è Orazio satiro che vene;
Ovidio è 'l terzo, e l'ultimo Lucano.
  Però che ciascun meco si convene
nel nome che sonò la voce sola,
fannomi onore, e di ciò fanno bene».
  Così vid'i' adunar la bella scola
di quel segnor de l'altissimo canto
che sovra li altri com'aquila vola.
  Da ch'ebber ragionato insieme alquanto,
volsersi a me con salutevol cenno,
e 'l mio maestro sorrise di tanto;
  e più d'onore ancora assai mi fenno,
ch'e' sì mi fecer de la loro schiera,
sì ch'io fui sesto tra cotanto senno.
  Così andammo infino a la lumera,
parlando cose che 'l tacere è bello,
sì com'era 'l parlar colà dov'era.
  Venimmo al piè d'un nobile castello,
sette volte cerchiato d'alte mura,
difeso intorno d'un bel fiumicello.
  Questo passammo come terra dura;
per sette porte intrai con questi savi:
giugnemmo in prato di fresca verdura.
  Genti v'eran con occhi tardi e gravi,
di grande autorità ne' lor sembianti:
parlavan rado, con voci soavi.
  Traemmoci così da l'un de' canti,
in loco aperto, luminoso e alto,
sì che veder si potien tutti quanti.
  Colà diritto, sovra 'l verde smalto,
mi fuor mostrati li spiriti magni,
che del vedere in me stesso m'essalto.
  I' vidi Eletra con molti compagni,
tra ' quai conobbi Ettòr ed Enea,
Cesare armato con li occhi grifagni.
  Vidi Cammilla e la Pantasilea;
da l'altra parte, vidi 'l re Latino
che con Lavina sua figlia sedea.
  Vidi quel Bruto che cacciò Tarquino,
Lucrezia, Iulia, Marzia e Corniglia;
e solo, in parte, vidi 'l Saladino.
  Poi ch'innalzai un poco più le ciglia,
vidi 'l maestro di color che sanno
seder tra filosofica famiglia.
  Tutti lo miran, tutti onor li fanno:
quivi vid'io Socrate e Platone,
che 'nnanzi a li altri più presso li stanno;
  Democrito, che 'l mondo a caso pone,
Diogenés, Anassagora e Tale,
Empedoclès, Eraclito e Zenone;
  e vidi il buono accoglitor del quale,
Diascoride dico; e vidi Orfeo,
Tulio e Lino e Seneca morale;
  Euclide geomètra e Tolomeo,
Ipocràte, Avicenna e Galieno,
Averoìs, che 'l gran comento feo.
  Io non posso ritrar di tutti a pieno,
però che sì mi caccia il lungo tema,
che molte volte al fatto il dir vien meno.
  La sesta compagnia in due si scema:
per altra via mi mena il savio duca,
fuor de la queta, ne l'aura che trema.
  E vegno in parte ove non è che luca.

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  Broke the deep lethargy within my head
A heavy thunder, so that I upstarted,
Like to a person who by force is wakened;
  And round about I moved my rested eyes,
Uprisen erect, and steadfastly I gazed,
To recognise the place wherein I was.
  True is it, that upon the verge I found me
Of the abysmal valley dolorous,
That gathers thunder of infinite ululations.
  Obscure, profound it was, and nebulous,
So that by fixing on its depths my sight
Nothing whatever I discerned therein.
  “Let us descend now into the blind world”,
Began the Poet, pallid utterly;
“I will be first, and thou shalt second be”.
  And I, who of his colour was aware,
Said: “How shall I come, if thou art afraid,
Who'rt wont to be a comfort to my fears?”.
  And he to me: “The anguish of the people
Who are below here in my face depicts
That pity which for terror thou hast taken.
  Let us go on, for the long way impels us”.
Thus he went in, and thus he made me enter
The foremost circle that surrounds the abyss.
  There, as it seemed to me from listening,
Were lamentations none, but only sighs,
That tremble made the everlasting air.
  And this arose from sorrow without torment,
Which the crowds had, that many were and great,
Of infants and of women and of men.
  To me the Master good: “Thou dost not ask
What spirits these, which thou beholdest, are?
Now will I have thee know, ere thou go farther,
  That they sinned not; and if they merit had,
'Tis not enough, because they had not baptism
Which is the portal of the Faith thou holdest;
  And if they were before Christianity,
In the right manner they adored not God;
And among such as these am I myself.
  For such defects, and not for other guilt,
Lost are we and are only so far punished,
That without hope we live on in desire”.
  Great grief seized on my heart when this I heard,
Because some people of much worthiness
I knew, who in that Limbo were suspended.
  “Tell me, my Master, tell me, thou my Lord”,
Began I, with desire of being certain
Of that Faith which o'ercometh every error,
  “Came any one by his own merit hence,
Or by another's, who was blessed thereafter?”.
And he, who understood my covert speech,
  Replied: “I was a novice in this state,
When I saw hither come a Mighty One,
With sign of victory incoronate.
  Hence he drew forth the shade of the First Parent,
And that of his son Abel, and of Noah,
Of Moses the lawgiver, and the obedient
  Abraham, patriarch, and David, king,
Israel with his father and his children,
And Rachel, for whose sake he did so much,
  And others many, and he made them blessed;
And thou must know, that earlier than these
Never were any human spirits saved”.
  We ceased not to advance because he spake,
But still were passing onward through the forest,
The forest, say I, of thick-crowded ghosts.
  Not very far as yet our way had gone
This side the summit, when I saw a fire
That overcame a hemisphere of darkness.
  We were a little distant from it still,
But not so far that I in part discerned not
That honourable people held that place.
  “O thou who honourest every art and science,
Who may these be, which such great honour have,
That from the fashion of the rest it parts them?”.
  And he to me: “The honourable name,
That sounds of them above there in thy life,
Wins grace in Heaven, that so advances them”.
  In the mean time a voice was heard by me:
“All honour be to the pre-eminent Poet;
His shade returns again, that was departed”.
  After the voice had ceased and quiet was,
Four mighty shades I saw approaching us;
Semblance had they nor sorrowful nor glad.
  To say to me began my gracious Master:
“Him with that falchion in his hand behold,
Who comes before the three, even as their lord.
  That one is Homer, Poet sovereign;
He who comes next is Horace, the satirist;
The third is Ovid, and the last is Lucan.
  Because to each of these with me applies
The name that solitary voice proclaimed,
They do me honour, and in that do well”.
  Thus I beheld assemble the fair school
Of that lord of the song pre-eminent,
Who o'er the others like an eagle soars.
  When they together had discoursed somewhat,
They turned to me with signs of salutation,
And on beholding this, my Master smiled;
  And more of honour still, much more, they did me,
In that they made me one of their own band;
So that the sixth was I, 'mid so much wit.
  Thus we went on as far as to the light,
Things saying 'tis becoming to keep silent,
As was the saying of them where I was.
  We came unto a noble castle's foot,
Seven times encompassed with lofty walls,
Defended round by a fair rivulet;
  This we passed over even as firm ground;
Through portals seven I entered with these Sages;
We came into a meadow of fresh verdure.
  People were there with solemn eyes and slow,
Of great authority in their countenance;
They spake but seldom, and with gentle voices.
  Thus we withdrew ourselves upon one side
Into an opening luminous and lofty,
So that they all of them were visible.
  There opposite, upon the green enamel,
Were pointed out to me the mighty spirits,
Whom to have seen I feel myself exalted.
  I saw Electra with companions many,
'Mongst whom I knew both Hector and Aeneas,
Caesar in armour with gerfalcon eyes;
  I saw Camilla and Penthesilea
On the other side, and saw the King Latinus,
Who with Lavinia his daughter sat;
  I saw that Brutus who drove Tarquin forth,
Lucretia, Julia, Marcia, and Cornelia,
And saw alone, apart, the Saladin.
  When I had lifted up my brows a little,
The Master I beheld of those who know,
Sit with his philosophic family.
  All gaze upon him, and all do him honour.
There I beheld both Socrates and Plato,
Who nearer him before the others stand;
  Democritus, who puts the world on chance,
Diogenes, Anaxagoras, and Thales,
Zeno, Empedocles, and Heraclitus;
  Of qualities I saw the good collector,
Hight Dioscorides; and Orpheus saw I,
Tully and Livy, and moral Seneca,
  Euclid, geometrician, and Ptolemy,
Galen, Hippocrates, and Avicenna,
Averroes, who the great Comment made.
  I cannot all of them pourtray in full,
Because so drives me onward the long theme,
That many times the word comes short of fact.
  The sixfold company in two divides;
Another way my sapient Guide conducts me
Forth from the quiet to the air that trembles;
  And to a place I come where nothing shines.
Canto IV