Sustart
Illustrations by Gustave Doré (1832-1883)

  Già era l'angel dietro a noi rimaso,
l'angel che n'avea vòlti al sesto giro,
avendomi dal viso un colpo raso;
  e quei c'hanno a giustizia lor disiro
detto n'avea beati, e le sue voci
con 'sitiunt', sanz'altro, ciò forniro.
  E io più lieve che per l'altre foci
m'andava, sì che sanz'alcun labore
seguiva in sù li spiriti veloci;
  quando Virgilio incominciò: «Amore,
acceso di virtù, sempre altro accese,
pur che la fiamma sua paresse fore;
  onde da l'ora che tra noi discese
nel limbo de lo 'nferno Giovenale,
che la tua affezion mi fé palese,
  mia benvoglienza inverso te fu quale
più strinse mai di non vista persona,
sì ch'or mi parran corte queste scale.
  Ma dimmi, e come amico mi perdona
se troppa sicurtà m'allarga il freno,
e come amico omai meco ragiona:
  come poté trovar dentro al tuo seno
loco avarizia, tra cotanto senno
di quanto per tua cura fosti pieno?».
  Queste parole Stazio mover fenno
un poco a riso pria; poscia rispuose:
«Ogne tuo dir d'amor m'è caro cenno.
  Veramente più volte appaion cose
che danno a dubitar falsa matera
per le vere ragion che son nascose.
  La tua dimanda tuo creder m'avvera
esser ch'i' fossi avaro in l'altra vita,
forse per quella cerchia dov'io era.
  Or sappi ch'avarizia fu partita
troppo da me, e questa dismisura
migliaia di lunari hanno punita.
  E se non fosse ch'io drizzai mia cura,
quand'io intesi là dove tu chiame,
crucciato quasi a l'umana natura:
  'Per che non reggi tu, o sacra fame
de l'oro, l'appetito de' mortali?',
voltando sentirei le giostre grame.
  Allor m'accorsi che troppo aprir l'ali
potean le mani a spendere, e pente'mi
così di quel come de li altri mali.
  Quanti risurgeran coi crini scemi
per ignoranza, che di questa pecca
toglie 'l penter vivendo e ne li stremi!
  E sappie che la colpa che rimbecca
per dritta opposizione alcun peccato,
con esso insieme qui suo verde secca;
  però, s'io son tra quella gente stato
che piange l'avarizia, per purgarmi,
per lo contrario suo m'è incontrato».
  «Or quando tu cantasti le crude armi
de la doppia trestizia di Giocasta»,
disse 'l cantor de' buccolici carmi,
  «per quello che Cliò teco lì tasta,
non par che ti facesse ancor fedele
la fede, sanza qual ben far non basta.
  Se così è, qual sole o quai candele
ti stenebraron sì, che tu drizzasti
poscia di retro al pescator le vele?».
  Ed elli a lui: «Tu prima m'inviasti
verso Parnaso a ber ne le sue grotte,
e prima appresso Dio m'alluminasti.
  Facesti come quei che va di notte,
che porta il lume dietro e sé non giova,
ma dopo sé fa le persone dotte,
  quando dicesti: 'Secol si rinova;
torna giustizia e primo tempo umano,
e progenie scende da ciel nova'.
  Per te poeta fui, per te cristiano:
ma perché veggi mei ciò ch'io disegno,
a colorare stenderò la mano:
  Già era 'l mondo tutto quanto pregno
de la vera credenza, seminata
per li messaggi de l'etterno regno;
  e la parola tua sopra toccata
si consonava a' nuovi predicanti;
ond'io a visitarli presi usata.
  Vennermi poi parendo tanto santi,
che, quando Domizian li perseguette,
sanza mio lagrimar non fur lor pianti;
  e mentre che di là per me si stette,
io li sovvenni, e i lor dritti costumi
fer dispregiare a me tutte altre sette.
  E pria ch'io conducessi i Greci a' fiumi
di Tebe poetando, ebb'io battesmo;
ma per paura chiuso cristian fu'mi,
  lungamente mostrando paganesmo;
e questa tepidezza il quarto cerchio
cerchiar mi fé più che 'l quarto centesmo.
  Tu dunque, che levato hai il coperchio
che m'ascondeva quanto bene io dico,
mentre che del salire avem soverchio,
  dimmi dov'è Terrenzio nostro antico,
Cecilio e Plauto e Varro, se lo sai:
dimmi se son dannati, e in qual vico».
  «Costoro e Persio e io e altri assai»,
rispuose il duca mio, «siam con quel Greco
che le Muse lattar più ch'altri mai,
  nel primo cinghio del carcere cieco:
spesse fiate ragioniam del monte
che sempre ha le nutrice nostre seco.
  Euripide v'è nosco e Antifonte,
Simonide, Agatone e altri piùe
Greci che già di lauro ornar la fronte.
  Quivi si veggion de le genti tue
Antigone, Deifile e Argia,
e Ismene sì trista come fue.
  Védeisi quella che mostrò Langia;
èvvi la figlia di Tiresia, e Teti
e con le suore sue Deidamia».
  Tacevansi ambedue già li poeti,
di novo attenti a riguardar dintorno,
liberi da saliri e da pareti;
  e già le quattro ancelle eran del giorno
rimase a dietro, e la quinta era al temo,
drizzando pur in sù l'ardente corno,
  quando il mio duca: «Io credo ch'a lo stremo
le destre spalle volger ne convegna,
girando il monte come far solemo».
  Così l'usanza fu lì nostra insegna,
e prendemmo la via con men sospetto
per l'assentir di quell'anima degna.
  Elli givan dinanzi, e io soletto
di retro, e ascoltava i lor sermoni,
ch'a poetar mi davano intelletto.
  Ma tosto ruppe le dolci ragioni
un alber che trovammo in mezza strada,
con pomi a odorar soavi e buoni;
  e come abete in alto si digrada
di ramo in ramo, così quello in giuso,
cred'io, perché persona sù non vada.
  Dal lato onde 'l cammin nostro era chiuso,
cadea de l'alta roccia un liquor chiaro
e si spandeva per le foglie suso.
  Li due poeti a l'alber s'appressaro;
e una voce per entro le fronde
gridò: «Di questo cibo avrete caro».
  Poi disse: «Più pensava Maria onde
fosser le nozze orrevoli e intere,
ch'a la sua bocca, ch'or per voi risponde.
  E le Romane antiche, per lor bere,
contente furon d'acqua; e Daniello
dispregiò cibo e acquistò savere.
  Lo secol primo, quant'oro fu bello,
fé savorose con fame le ghiande,
e nettare con sete ogne ruscello.
  Mele e locuste furon le vivande
che nodriro il Batista nel diserto;
per ch'elli è glorioso e tanto grande
  quanto per lo Vangelio v'è aperto».

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  Already was the Angel left behind us,
The Angel who to the sixth round had turned us,
Having erased one mark from off my face;
  And those who have in justice their desire
Had said to us, “Beati”, in their voices,
With “sitio”, and without more ended it.
  And I, more light than through the other passes,
Went onward so, that without any labour
I followed upward the swift-footed spirits;
  When thus Virgilius began: “The love
Kindled by virtue aye another kindles,
Provided outwardly its flame appear.
  Hence from the hour that Juvenal descended
Among us into the infernal Limbo,
Who made apparent to me thy affection,
  My kindliness towards thee was as great
As ever bound one to an unseen person,
So that these stairs will now seem short to me.
  But tell me, and forgive me as a friend,
If too great confidence let loose the rein,
And as a friend now hold discourse with me;
  How was it possible within thy breast
For avarice to find place, 'mid so much wisdom
As thou wast filled with by thy diligence?”.
  These words excited Statius at first
Somewhat to laughter; afterward he answered:
“Each word of thine is love's dear sign to me.
  Verily oftentimes do things appear
Which give fallacious matter to our doubts,
Instead of the true causes which are hidden!
  Thy question shows me thy belief to be
That I was niggard in the other life,
It may be from the circle where I was;
  Therefore know thou, that avarice was removed
Too far from me; and this extravagance
Thousands of lunar periods have punished.
  And were it not that I my thoughts uplifted,
When I the passage heard where thou exclaimest,
As if indignant, unto human nature,
  'To what impellest thou not, O cursed hunger
Of gold, the appetite of mortal men?'
Revolving I should feel the dismal joustings.
  Then I perceived the hands could spread too wide
Their wings in spending, and repented me
As well of that as of my other sins;
  How many with shorn hair shall rise again
Because of ignorance, which from this sin
Cuts off repentance living and in death!
  And know that the transgression which rebuts
By direct opposition any sin
Together with it here its verdure dries.
  Therefore if I have been among that folk
Which mourns its avarice, to purify me,
For its opposite has this befallen me”.
  “Now when thou sangest the relentless weapons
Of the twofold affliction of Jocasta”,
The singer of the Songs Bucolic said,
  “From that which Clio there with thee preludes,
It does not seem that yet had made thee faithful
That faith without which no good works suffice.
  If this be so, what candles or what sun
Scattered thy darkness so that thou didst trim
Thy sails behind the Fisherman thereafter?”.
  And he to him: “Thou first directedst me
Towards Parnassus, in its grots to drink,
And first concerning God didst me enlighten.
  Thou didst as he who walketh in the night,
Who bears his light behind, which helps him not,
But wary makes the persons after him,
  When thou didst say: 'The age renews itself,
Justice returns, and man's primeval time,
And a new progeny descends from heaven.'
  Through thee I Poet was, through thee a Christian;
But that thou better see what I design,
To colour it will I extend my hand.
  Already was the world in every part
Pregnant with the true creed, disseminated
By messengers of the eternal kingdom;
  And thy assertion, spoken of above,
With the new preachers was in unison;
Whence I to visit them the custom took.
  Then they became so holy in my sight,
That, when Domitian persecuted them,
Not without tears of mine were their laments;
  And all the while that I on earth remained,
Them I befriended, and their upright customs
Made me disparage all the other sects.
  And ere I led the Greeks unto the rivers
Of Thebes, in poetry, I was baptized,
But out of fear was covertly a Christian,
  For a long time professing paganism;
And this lukewarmness caused me the fourth circle
To circuit round more than four centuries.
  Thou, therefore, who hast raised the covering
That hid from me whatever good I speak of,
While in ascending we have time to spare,
  Tell me, in what place is our friend Terentius,
Caecilius, Plautus, Varro, if thou knowest;
Tell me if they are damned, and in what alley”.
  “These, Persius and myself, and others many”,
Replied my Leader, “with that Grecian are
Whom more than all the rest the Muses suckled,
  In the first circle of the prison blind;
Ofttimes we of the mountain hold discourse
Which has our nurses ever with itself.
  Euripides is with us, Antiphon,
Simonides, Agatho, and many other
Greeks who of old their brows with laurel decked.
  There some of thine own people may be seen,
Antigone, Deiphile and Argia,
And there Ismene mournful as of old.
  There she is seen who pointed out Langia;
There is Tiresias' daughter, and there Thetis,
And there Deidamia with her sisters”.
  Silent already were the poets both,
Attent once more in looking round about,
From the ascent and from the walls released;
  And four handmaidens of the day already
Were left behind, and at the pole the fifth
Was pointing upward still its burning horn,
  What time my Guide: “I think that tow'rds the edge
Our dexter shoulders it behoves us turn,
Circling the mount as we are wont to do”.
  Thus in that region custom was our ensign;
And we resumed our way with less suspicion
For the assenting of that worthy soul
  They in advance went on, and I alone
Behind them, and I listened to their speech,
Which gave me lessons in the art of song.
  But soon their sweet discourses interrupted
A tree which midway in the road we found,
With apples sweet and grateful to the smell.
  And even as a fir-tree tapers upward
From bough to bough, so downwardly did that;
I think in order that no one might climb it.
  On that side where our pathway was enclosed
Fell from the lofty rock a limpid water,
And spread itself abroad upon the leaves.
  The Poets twain unto the tree drew near,
And from among the foliage a voice
Cried: “Of this food ye shall have scarcity”.
  Then said: “More thoughtful Mary was of making
The marriage feast complete and honourable,
Than of her mouth which now for you responds;
  And for their drink the ancient Roman women
With water were content; and Daniel
Disparaged food, and understanding won.
  The primal age was beautiful as gold;
Acorns it made with hunger savorous,
And nectar every rivulet with thirst.
  Honey and locusts were the aliments
That fed the Baptist in the wilderness;
Whence he is glorious, and so magnified
  As by the Evangel is revealed to you”.
Canto XXII