Sustart
Illustrations by Gustave Doré (1832-1883)

  Forse semilia miglia di lontano
ci ferve l'ora sesta, e questo mondo
china già l'ombra quasi al letto piano,
  quando 'l mezzo del cielo, a noi profondo,
comincia a farsi tal, ch'alcuna stella
perde il parere infino a questo fondo;
  e come vien la chiarissima ancella
del sol più oltre, così 'l ciel si chiude
di vista in vista infino a la più bella.
  Non altrimenti il triunfo che lude
sempre dintorno al punto che mi vinse,
parendo inchiuso da quel ch'elli 'nchiude,
  a poco a poco al mio veder si stinse:
per che tornar con li occhi a Beatrice
nulla vedere e amor mi costrinse.
  Se quanto infino a qui di lei si dice
fosse conchiuso tutto in una loda,
poca sarebbe a fornir questa vice.
  La bellezza ch'io vidi si trasmoda
non pur di là da noi, ma certo io credo
che solo il suo fattor tutta la goda.
  Da questo passo vinto mi concedo
più che già mai da punto di suo tema
soprato fosse comico o tragedo:
  ché, come sole in viso che più trema,
così lo rimembrar del dolce riso
la mente mia da me medesmo scema.
  Dal primo giorno ch'i' vidi il suo viso
in questa vita, infino a questa vista,
non m'è il seguire al mio cantar preciso;
  ma or convien che mio seguir desista
più dietro a sua bellezza, poetando,
come a l'ultimo suo ciascuno artista.
  Cotal qual io lascio a maggior bando
che quel de la mia tuba, che deduce
l'ardua sua matera terminando,
  con atto e voce di spedito duce
ricominciò: «Noi siamo usciti fore
del maggior corpo al ciel ch'è pura luce:
  luce intellettual, piena d'amore;
amor di vero ben, pien di letizia;
letizia che trascende ogne dolzore.
  Qui vederai l'una e l'altra milizia
di paradiso, e l'una in quelli aspetti
che tu vedrai a l'ultima giustizia».
  Come sùbito lampo che discetti
li spiriti visivi, sì che priva
da l'atto l'occhio di più forti obietti,
  così mi circunfulse luce viva,
e lasciommi fasciato di tal velo
del suo fulgor, che nulla m'appariva.
  «Sempre l'amor che queta questo cielo
accoglie in sé con sì fatta salute,
per far disposto a sua fiamma il candelo».
  Non fur più tosto dentro a me venute
queste parole brievi, ch'io compresi
me sormontar di sopr'a mia virtute;
  e di novella vista mi raccesi
tale, che nulla luce è tanto mera,
che li occhi miei non si fosser difesi;
  e vidi lume in forma di rivera
fulvido di fulgore, intra due rive
dipinte di mirabil primavera.
  Di tal fiumana uscian faville vive,
e d'ogne parte si mettìen ne' fiori,
quasi rubin che oro circunscrive;
  poi, come inebriate da li odori,
riprofondavan sé nel miro gurge;
e s'una intrava, un'altra n'uscia fori.
  «L'alto disio che mo t'infiamma e urge,
d'aver notizia di ciò che tu vei,
tanto mi piace più quanto più turge;
  ma di quest'acqua convien che tu bei
prima che tanta sete in te si sazi»:
così mi disse il sol de li occhi miei.
  Anche soggiunse: «Il fiume e li topazi
ch'entrano ed escono e 'l rider de l'erbe
son di lor vero umbriferi prefazi.
  Non che da sé sian queste cose acerbe;
ma è difetto da la parte tua,
che non hai viste ancor tanto superbe».
  Non è fantin che sì sùbito rua
col volto verso il latte, se si svegli
molto tardato da l'usanza sua,
  come fec'io, per far migliori spegli
ancor de li occhi, chinandomi a l'onda
che si deriva perché vi s'immegli;
  e sì come di lei bevve la gronda
de le palpebre mie, così mi parve
di sua lunghezza divenuta tonda.
  Poi, come gente stata sotto larve,
che pare altro che prima, se si sveste
la sembianza non sua in che disparve,
  così mi si cambiaro in maggior feste
li fiori e le faville, sì ch'io vidi
ambo le corti del ciel manifeste.
  O isplendor di Dio, per cu' io vidi
l'alto triunfo del regno verace,
dammi virtù a dir com'io il vidi!
  Lume è là sù che visibile face
lo creatore a quella creatura
che solo in lui vedere ha la sua pace.
  E' si distende in circular figura,
in tanto che la sua circunferenza
sarebbe al sol troppo larga cintura.
  Fassi di raggio tutta sua parvenza
reflesso al sommo del mobile primo,
che prende quindi vivere e potenza.
  E come clivo in acqua di suo imo
si specchia, quasi per vedersi addorno,
quando è nel verde e ne' fioretti opimo,
  sì, soprastando al lume intorno intorno,
vidi specchiarsi in più di mille soglie
quanto di noi là sù fatto ha ritorno.
  E se l'infimo grado in sé raccoglie
sì grande lume, quanta è la larghezza
di questa rosa ne l'estreme foglie!
  La vista mia ne l'ampio e ne l'altezza
non si smarriva, ma tutto prendeva
il quanto e 'l quale di quella allegrezza.
  Presso e lontano, lì, né pon né leva:
ché dove Dio sanza mezzo governa,
la legge natural nulla rileva.
  Nel giallo de la rosa sempiterna,
che si digrada e dilata e redole
odor di lode al sol che sempre verna,
  qual è colui che tace e dicer vole,
mi trasse Beatrice, e disse: «Mira
quanto è 'l convento de le bianche stole!
  Vedi nostra città quant'ella gira;
vedi li nostri scanni sì ripieni,
che poca gente più ci si disira.
  E 'n quel gran seggio a che tu li occhi tieni
per la corona che già v'è sù posta,
prima che tu a queste nozze ceni,
  sederà l'alma, che fia giù agosta,
de l'alto Arrigo, ch'a drizzare Italia
verrà in prima ch'ella sia disposta.
  La cieca cupidigia che v'ammalia
simili fatti v'ha al fantolino
che muor per fame e caccia via la balia.
  E fia prefetto nel foro divino
allora tal, che palese e coverto
non anderà con lui per un cammino.
  Ma poco poi sarà da Dio sofferto
nel santo officio; ch'el sarà detruso
là dove Simon mago è per suo merto,
  e farà quel d'Alagna intrar più giuso».

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  Perchance six thousand miles remote from us
Is glowing the sixth hour, and now this world
Inclines its shadow almost to a level,
  When the mid-heaven begins to make itself
So deep to us, that here and there a star
Ceases to shine so far down as this depth,
  And as advances bright exceedingly
The handmaid of the sun, the heaven is closed
Light after light to the most beautiful;
  Not otherwise the Triumph, which for ever
Plays round about the point that vanquished me,
Seeming enclosed by what itself encloses,
  Little by little from my vision faded;
Whereat to turn mine eyes on Beatrice
My seeing nothing and my love constrained me.
  If what has hitherto been said of her
Were all concluded in a single praise,
Scant would it be to serve the present turn.
  Not only does the beauty I beheld
Transcend ourselves, but truly I believe
Its Maker only may enjoy it all.
  Vanquished do I confess me by this passage
More than by problem of his theme was ever
O'ercome the comic or the tragic poet;
  For as the sun the sight that trembles most,
Even so the memory of that sweet smile
My mind depriveth of its very self.
  From the first day that I beheld her face
In this life, to the moment of this look,
The sequence of my song has ne'er been severed;
  But now perforce this sequence must desist
From following her beauty with my verse,
As every artist at his uttermost.
  Such as I leave her to a greater fame
Than any of my trumpet, which is bringing
Its arduous matter to a final close,
  With voice and gesture of a perfect leader
She recommenced: “We from the greatest body
Have issued to the heaven that is pure light;
  Light intellectual replete with love,
Love of true good replete with ecstasy,
Ecstasy that transcendeth every sweetness.
  Here shalt thou see the one host and the other
Of Paradise, and one in the same aspects
Which at the final judgment thou shalt see”.
  Even as a sudden lightning that disperses
The visual spirits, so that it deprives
The eye of impress from the strongest objects,
  Thus round about me flashed a living light,
And left me swathed around with such a veil
Of its effulgence, that I nothing saw.
  “Ever the Love which quieteth this heaven
Welcomes into itself with such salute,
To make the candle ready for its flame”.
  No sooner had within me these brief words
An entrance found, than I perceived myself
To be uplifted over my own power,
  And I with vision new rekindled me,
Such that no light whatever is so pure
But that mine eyes were fortified against it.
  And light I saw in fashion of a river
Fulvid with its effulgence, 'twixt two banks
Depicted with an admirable Spring.
  Out of this river issued living sparks,
And on all sides sank down into the flowers,
Like unto rubies that are set in gold;
  And then, as if inebriate with the odours,
They plunged again into the wondrous torrent,
And as one entered issued forth another.
  “The high desire, that now inflames and moves thee
To have intelligence of what thou seest,
Pleaseth me all the more, the more it swells.
  But of this water it behoves thee drink
Before so great a thirst in thee be slaked”.
Thus said to me the sunshine of mine eyes;
  And added: “The river and the topazes
Going in and out, and the laughing of the herbage,
Are of their truth foreshadowing prefaces;
  Not that these things are difficult in themselves,
But the deficiency is on thy side,
For yet thou hast not vision so exalted”.
  There is no babe that leaps so suddenly
With face towards the milk, if he awake
Much later than his usual custom is,
  As I did, that I might make better mirrors
Still of mine eyes, down stooping to the wave
Which flows that we therein be better made.
  And even as the penthouse of mine eyelids
Drank of it, it forthwith appeared to me
Out of its length to be transformed to round.
  Then as a folk who have been under masks
Seem other than before, if they divest
The semblance not their own they disappeared in,
  Thus into greater pomp were changed for me
The flowerets and the sparks, so that I saw
Both of the Courts of Heaven made manifest.
  O splendour of God! by means of which I saw
The lofty triumph of the realm veracious,
Give me the power to say how it I saw!
  There is a light above, which visible
Makes the Creator unto every creature,
Who only in beholding Him has peace,
  And it expands itself in circular form
To such extent, that its circumference
Would be too large a girdle for the sun.
  The semblance of it is all made of rays
Reflected from the top of Primal Motion,
Which takes therefrom vitality and power.
  And as a hill in water at its base
Mirrors itself, as if to see its beauty
When affluent most in verdure and in flowers,
  So, ranged aloft all round about the light,
Mirrored I saw in more ranks than a thousand
All who above there have from us returned.
  And if the lowest row collect within it
So great a light, how vast the amplitude
Is of this Rose in its extremest leaves!
  My vision in the vastness and the height
Lost not itself, but comprehended all
The quantity and quality of that gladness.
  There near and far nor add nor take away;
For there where God immediately doth govern,
The natural law in naught is relevant.
  Into the yellow of the Rose Eternal
That spreads, and multiplies, and breathes an odour
Of praise unto the ever-vernal Sun,
  As one who silent is and fain would speak,
Me Beatrice drew on, and said: “Behold
Of the white stoles how vast the convent is!
  Behold how vast the circuit of our city!
Behold our seats so filled to overflowing,
That here henceforward are few people wanting!
  On that great throne whereon thine eyes are fixed
For the crown's sake already placed upon it,
Before thou suppest at this wedding feast
  Shall sit the soul (that is to be Augustus
On earth) of noble Henry, who shall come
To redress Italy ere she be ready.
  Blind covetousness, that casts its spell upon you,
Has made you like unto the little child,
Who dies of hunger and drives off the nurse.
  And in the sacred forum then shall be
A Prefect such, that openly or covert
On the same road he will not walk with him.
  But long of God he will not be endured
In holy office; he shall be thrust down
Where Simon Magus is for his deserts,
  And make him of Alagna lower go!”.
Canto XXX